Contributo pre-congressuale Radicali Italiani di Andrea Sanvito

 

Ho sottoscritto il documento a firma Massimiliano Iervolino e Giulia Crivellini e come anticipato propongo alcune mie riflessioni integrative in tema di innovazione politica ed istituzionale.

Al centro dell’analisi, pongo l’efficacia e l’efficienza dei processi decisionali condotti secondo metodi democratici, entrambe messe a dura prova dai cambiamenti intervenuti a livello globale a partire dalla fine del secolo scorso.

Due recenti eventi accaduti all’estero riassumono, seppure con connotati diversi, l’evidente stato di crisi dei processi decisionali basati sul voto popolare: la Brexit e il referendum greco del luglio 2015 che respinse con il 61% dei consensi il piano di austerità proposto dalla UE.

Nel primo caso, efficacia ed efficienza del voto Brexit sono state fallimentari: a distanza di tre anni il Paese si trova in un vicolo cieco procedurale e istituzionale, arrivando addirittura alla sospensione temporanea dei lavori parlamentari. Dal punto di vista dell’efficacia, una svolta epocale per il destino di una nazione è stata determinata dal misero scarto dell’1,89% con forti sospetti sulla consapevolezza del voto di alcuni settori della popolazione. Nel secondo caso, quello del referendum greco, l’efficacia si è rivelata nulla poiché dopo pochi mesi il piano di austerità venne comunque eseguito a dispetto del voto popolare.

A destabilizzare il funzionamento delle istituzioni democratiche, semplificando per esigenze di brevità: la globalizzazione dei processi economici, finanziari e di conseguenza fiscali, che li ha resi estremamente più complessi ed imprevedibili, talvolta volatili; le nuove tecnologie, digitali e non più analogiche, che accelerano la velocità dei processi e la trasmissione delle informazioni, favorendo le discontinuità tecnologiche e innescando nuovi stili di vita e modelli relazionali; la spinta crescente dei flussi migratori, destinata ad aumentare nei prossimi anni anche a causa dei drammatici cambiamenti climatici oltre che per effetto della pressione demografica dei Paesi africani. Per gli Stati nazionali, diventa sempre più difficile governare le dinamiche economiche e sociali, sotto la spinta di cambiamenti sovranazionali. A peggiorare la situazione, nella competizione globale, le democrazie occidentali si confrontano anche con le tecnocrazie autoritarie, quali Cina e Singapore, che godono del vantaggio competitivo di processi decisionali molto rapidi ed efficaci nella realizzazione di infra-strutture, sviluppo di nuove tecnologie e prodotti, apertura di nuovi mercati e politiche di investimento mirate ad acquisire leadership tecnico-produttiva in alcuni settori. Anche in tema di contrasto al cambiamento climatico, le tecnocrazie hanno iniziato ad adottare rapidamente alcune soluzioni, quali la chiusura di produzioni inquinanti o la forzata introduzione dei veicoli elettrici. A scanso di equivoci, lungi da me tessere le lodi delle tecnocrazie autoritarie, viziate dall’assenza di democraticità e dalla violazione dei diritti umani. Semplicemente, non possiamo ignorare come nello scenario della competizione globale le nostro istituzioni scontino un deficit significativo di efficienza ed efficacia delle policies in alcuni settori, in primis quello economico.

Per l’Italia, il quadro è ancora più preoccupante: siamo un Paese in declino da oltre 20 anni, che precipita in una spirale perversa di politiche caratterizzate dall’uso spregiudicato della spesa pubblica ai fini della creazione e mantenimento del consenso. Un corto circuito di lungo periodo fra creazione del consenso e assunzione di responsabilità. Nessuna correlazione fra promesse elettorali e risultati conseguiti, sia per la difficoltà della misurazione dei risultati stessi, che spesso producono effetti diluiti nel tempo, sia per la possibilità di scaricare nel medio e lungo termine, quindi sulle generazioni future, i costi di

provvedimenti che creano consenso nell’immediato (aumento del debito o della tassazione negli anni futuri).

Il fenomeno della disintermediazione, favorito dall’avvento del digitale, ha prodotto i suoi effetti anche sulla nostra democrazia: il ruolo dei partiti, così come conosciuto nel corso del secolo passato, che svolgevano una importante funzione di analisi della società e delle informazioni, di formazione e confronto interno, nonché di elaborazione di proposte e iniziative, seppure con i limiti ben noti, ha subito i duri colpi della disintermediazione, che ha trovato la sua massima espressione nel Movimento 5 Stelle: “uno vale uno”, si decide con un semplice click sulla piattaforma digitale.

A questo punto, che fare? Iniziamo con il dire che il movimento radicale, per una serie di ragioni, non ultima quella di essere abituato a dialogare con qualsiasi formazione politica, anche al di fuori dei confini nazionali, è quello più adatto, per storia e cultura, a raccogliere la sfida del rinnovamento dei processi decisionali democratici. Radicali Italiani potrebbe e dovrebbe farne iniziativa principale e caratterizzante, con una funzione di stimolo e proposta indirizzata alle istituzioni, alle forze politiche, alle associazioni di categoria ed alla pubblica opinione. Studiando e proponendo soluzioni e misure che rappresentino una innovazione dell’intero quadro istituzionale. Oggi purtroppo non è più sufficiente mettere il diritto al centro dell’azione politica, oppure proporre una diversa legge elettorale o migliori condizioni di accesso all’elettorato passivo. E’ il quadro complessivo che va riformato, uscendo dalla logica perversa della campagna elettorale permanente e della ricerca spasmodica del consenso a breve, a tutti i costi. Rinunciando così a qualsiasi funzione di leadership e alla elaborazione di una visione di società e sviluppo, soprattutto a favore delle generazioni future. Il movimento radicale deve studiare e avanzare proposte, sia tradizionali, sia innovative, per migliorare la qualità del processo decisionale democratico. La creazione degli Stati Uniti d’Europa, con la crescente cessione di porzioni di sovranità nazionale, può aiutare il nostro Paese ad uscire dalla logica + spesa pubblica + consenso. Preziosi gli esperimenti di democrazia aleatoria (vedi ottimo lavoro di Eumans), che con la creazione di commissioni di esperti chiamati ad analizzare situazioni complesse, aiutano a compiere scelte che governi guidati dalla logica del gradimento immediato non effettuerebbero. L’accorpamento dei vari appuntamenti elettorali (nazionali, regionali, grandi comuni) in data unica, così da evitare lo stillicidio del sondaggio e campagna elettorale permanenti. Il federalismo, che restringendo gli ambiti di applicazione delle scelte politiche ne rende maggiormente visibili e misurabili i risultati, favorendo così una maggiore assunzione di responsabilità da parte del decisore politico. Infine, leggi elettorali che si pongano non solo l’obiettivo della rappresentanza ma anche quello della stabilità e della chiara identificazione di una maggioranza e di una opposizione. Sotto questo aspetto, la legge elettorale dei grandi comuni, con impianto proporzionale associato al ballottaggio del doppio turno e conseguente premio di maggioranza, ha garantito nel corso del tempo risultati più che soddisfacenti. Da ultimo, non va ovviamente trascurato il ruolo e l’importanza del sistema dei media, che grande influenza esercitano sull’orientamento dell’opinione pubblica e sullo stato di salute delle democrazie.

Buon congresso, compagni e compagne.

 

Andrea Sanvito

Componente Giunta di Segreteria ARET – Associazione Enzo Tortora Radicali Milano
Componente Direttivo di Più Europa Milano.