Facciamo una premessa obbligatoria: lo spirito liberale non può prescindere dal Pannelliano ‘conoscere per deliberare’, elemento essenza per coltivare il progresso, che secondo la concezione attuale è relegato alla sfera delle tecnologie, utili, ma non elemento primario dell’evoluzione della società. Le considerazioni nate in questi giorni derivano dalla lettura di un post, anche argomentato per carità, che vede nella digitalizzazione la soluzione a tutti i mali:
“perchè insistere sulla scuola in presenza quando bastava digitalizzare?”, una delle domande che vengono poste, e secondo noi poco lungimiranti. Le statistiche ci dicono che per il 28% degli adolescenti un compagno ha smesso di frequentare la scuola, Il Sole 24 Ore parla in questo articolo di “Generazione perduta del Covid” segnalando dei buchi di apprendimento che vanno dal 30% al 50%, una situazione che visti i dati del nostro Paese e il blocco della mobilità sociale rischia di essere un boomerang difficile da controllare.
Siamo il paese che pensa di risolvere con la tecnologia problemi che non hanno a che fare con la tecnologia, riducendo gli anni di crescita di uno studente ad una mera statistica di produttività sul PIL e utilità nel mondo del lavoro; intanto restano nell’ombra silenziosa le manifestazione degli studenti, a volte tacciati di carenza di idee – “pensano solamente a mettere un banco in piazza denunciando che la DAD è il male” – è il tenore delle risposte, anche da parte di alcuni media tv.
La retorica della formazione unicamente propedeutica a licenziare futuri lavoratori specializzati risulta evidentemente miope alla necessità di sviluppare il ragionamento e il pensiero degli studenti: in un Paese in cui i Test PISA del 2018 indicano chiaramente un abbassamento della qualità degli studenti e dell’insegnamento, con gravi differenze tra Nord e Sud, davvero pensiamo che dare un device a tutti gli studenti basti per far si che la scuola faccia il proprio lavoro?
Inoltre, all’interno di un contesto sociale per cui una parte di popolazione si trova negati gli strumenti basilari di connessione, come si può pensare che questo metodo avrebbe potuto soppiantare la scuola in presenza con efficienza? Ecco, se certamente alcuni investimenti potevano andare in questo senso così da includere tutti gli studenti all’interno della DAD, è anche vero che non sempre l’alternativa nei fatti sia più proficua del metodo classico, ovvero quello in presenza, quello che vogliono studenti e professori, di tutte le età e livelli scolastici, ad eccezione fatta per le Università che possono più agevolmente sopperire alla non fisicità.
Il punto non può più essere l’oggi, perchè oggi abbiamo avuto solo la conferma del fatto che lo Stato Italiano sono anni che si dimentica della Scuola, ma il punto è: quale futuro vogliamo?
Pensiamo solamente che gli studenti siano utili al potenziamento dell’industria, della robotica, dell’intelligenza artificiale? Tutte cose importanti, ma una società è tale se è fatta di persone che ne vivono ogni aspetto, altrimenti stiamo parlando non di persone ma di ruoli che devono essere inseriti in una meccanica di ingranaggi già preconfezionata. I ragazzi sanno meglio dei policy maker cosa vogliono, da Studenti Presenti che richiedono a Milano la scuola in presenza ormai da mesi, all’iniziativa del Collettivo Rinascimento Studentesco di Torino che in piazza Castello ha esposto 95 proposte per la scuola che vorrebbero. Tra le richieste troviamo educazione sessuale, stimolo al senso critico, scuola come luogo di dibattito in cui si possa parlare di politica.
La Dad oggi, sentendo le voci di chi vive la condizione di cui parliamo, cancella una vicinanza tra persone utile alla crescita, cancella delle relazioni reali in cambio di relazioni a distanza che risultano essere per gli adolescenti alienanti, se diventano le uniche interazioni possibili. Sia Chiaro, non intendiamo dire che la Dad è il demonio, anzi, potrebbe essere una soluzione per far partecipare alle lezioni gli studenti assenti così da non rimanere indietro con il programma in determinati casi, ma l’indifferenza anche nei confronti della scienza ci lascia senza parole. Soprattutto perchè, a mesi di distanza, emerge come non ci sia una rilevanza scientifica che faccia pensare all’apertura delle scuole come vincolo di aumento dei contagi.
Oggi l’urgenza è duplice: aprire e ripensare. Che la scuola non funzionasse nemmeno in presenza siamo tutti d’accordo, proprio perché frontale, immobile e non fluida, con qualche eccezione evidentemente, con qualche eccellenza qua e là. Con divari sempre più evidenti. La soluzione quindi non è, e non sarà per il futuro quella di spostare la scuola online, soprattutto per quel che concerne le scuole primarie e secondarie. La soluzione non sarà neanche approvare finanziarie in cui all’apparenza si aumentano gli investimenti, perchè come vediamo spesso non è detto che una maggiore capacità di spesa faccia progredire verso un risultato migliore.
L’unica certezza è che bisogna cogliere il momento per riorganizzare: sviluppare una scuola dove ci si possa aprire ai dibattiti generali, in modo laico, lavorando attivamente insieme su dei progetti così da fornire agli studenti la possibilità di capire il percorso adeguato e allo stesso tempo sollecitare alla curiosità, in un modello di scuola più aperto e multidisciplinare, che ripensi all’utilità del percorso attuale.
Questa sarebbe una base di partenza per ripensare la scuola, ma ad oggi sappiamo solo che dopo Pasqua alcuni Istituti verranno riaperti, dalle scuole dell’infanzia alla prima media, con buona pace di tutti gli altri.
Federica Valcauda; Luca Biscuola.