L’arancione rinforzato, lo studente incazzato

Ci risiamo. 

Dopo poco più di un mese di apertura delle scuole superiori ci siamo ritrovati da un giorno all’altro davanti ad una nuova chiusura, e non solo fino alla seconda media, bensì di tutti gli istituti fino alle scuole d’infanzia. 

Una chiusura repentina, decisa da Regione Lombardia, che non solo ha causato enormi disagi ai lavoratori con figlie e figli piccoli, ma anche e soprattutto alle studentesse e agli studenti stessi, fatto apparentemente scontato ma che vale la pena ricordare vista l’alta considerazione che ci viene riservata da ottobre (non ci resta che fare dell’ironia). 

La ratio dietro questa decisione è chiara: per provare a scongiurare la zona rossa si è deciso, un solo giorno prima della definizione della fascia di rischio in cui sarebbe entrata regione Lombardia da lunedì 8 marzo, di optare per l’istituzione di una generalizzata zona cosiddetta arancione scura, ossia per l’introduzione di quelle misure più severe permesse dal nuovo DPCM e che si risolvono sostanzialmente nella chiusura della scuola. 

Benché infatti il DPCM affermi che la scuola può essere chiusa in zona arancione solo se si adottano ulteriori restrizioni, appare evidente come esse nella pratica siano prive di qualsiasi efficacia, in quanto è impossibile controllare che venga rispettato il divieto di visita ad amici e parenti. 

Il presidente Fontana qualche giorno fa ha dichiarato che è necessario garantire una socialità controllata, affermando che per lui è meglio che si trovino “quattro amici al ristorante che venti in casa”. 

Questo ragionamento in difesa di un certo tipo di attività, che peraltro non considera che al ristorante non ci sono solo quattro amici, ma tutte le persone sedute ai tavoli spesso senza un adeguato distanziamento che devono stare per forza di cose in un ambiente chiuso per un tempo medio-lungo senza mascherine, per qualche strana ragione non vale quando si parla di scuole: la scuola, migliore offerta di socialità controllata grazie al costante utilizzo di mascherine e all’aerazione delle classi, si trova ancora una volta costretta a chiudere.

Se non si può proibire assolutamente alle persone di incontrarsi bisogna offrire loro la possibilità di farlo nel contesto più sicuro possibile, e se questo non viene fatto si aumenta solo il rischio di incontri fuori controllo, come tutte quelle “feste clandestine fuori controllo” di cui tutti abbiamo letto sui giornali in questi giorni, che mi pare vadano contro quanto auspicato da Fontana. 

Il messaggio che è passato ancora una volta al mondo dell’istruzione con questa ridicola zona arancione scuro, che a mio avviso è semplicemente un modo di sfuggire alla delibera del TAR che imponeva il divieto di chiudere le scuole in zona arancione, è sempre lo stesso: noi siamo quelli e quelle sacrificabili, noi siamo quelli e quelle che devono essere sacrificati per mantenere aperte le attività economiche. 

E trovo che sia francamente ridicolo che Fontana sbandieri su tutti i social come la sua scelta del giovedì abbia evitato la zona rossa il venerdì, come se improvvisamente il virus fosse sparito in seguito alla firma dell’ordinanza. 

La scuola è stata chiusa a fronte di un aumento dei contagi tra i giovani sul totale della popolazione, sulla base dell’assunto quanto mai sbagliato che tutti i contagi si siano verificati necessariamente nella scuola stessa, questo mentre buona parte dei ragazzi e delle ragazze aveva ricominciato a frequentare attività sportive, allenamenti e campionati anche di sport di gruppo e al chiuso; questo dopo tre settimane in zona gialla quando la variante inglese già circolava, di cui l’ultima dovuta a un nuovo errore nella trasmissione dei dati da parte della Lombardia (Sì, lo so, non ci credevo nemmeno io), in cui tutto era ammesso e concesso. 

Ma la vittima è ancora una volta la scuola, le vittime siamo ancora noi ragazzi e ragazze, tra cui come rileva il responsabile di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza del Bambino Gesù Stefano Vicari e come riporta Ansa “sono aumentati notevolmente da ottobre gli accessi in Pronto Soccorso per disturbi mentali, in particolare tentativi di suicidio o atti di autolesionismo”. 

Vicari afferma come noi giovani siamo tra le categorie cui prestare maggiore attenzione, ma attraverso queste decisioni noi veniamo abbandonatə di più ogni giorno, quando basterebbe poco per darci quello che ci meritiamo e che è un nostro diritto. 

Non sto dicendo che a scuola sia impossibile contagiarsi, perché non esiste alcun tipo di interazione a rischio zero, ma sto dicendo e ripetendo da mesi che bisognerebbe programmare le riaperture sulla base del rischio e della priorità. La scuola è un contesto controllato, in cui si possono rispettare tutte le misure di sicurezza, e la scuola è anche una priorità, nonostante in Italia sembri un’eresia affermare questo.                                C’è bisogno di ridurre i rischi anche dentro gli edifici scolastici stessi, nonostante sia sempre stato affermato che l’unico problema legato alla scuola erano i trasporti? 

Bene, si sarebbe potuto istituire l’obbligo di utilizzare mascherine più filtranti nelle scuole, si sarebbe potuta ridurre la capienza al 50%, si sarebbe potuto fare qualcosa se ce ne fosse stata la volontà

Ma la volontà non c’è, smettiamo di prenderci in giro. E a proposito di prese in giro, è inconcepibile che, come denunciato da Michele Usuelli, il Ministero dell’Istruzione abbia fatto retromarcia all’ultimo momento sulla possibilità per i figli e le figlie dei lavoratori e delle lavoratrici essenziali di frequentare la scuola in presenza. 

“Cambiano i ministri, ma non la minestra”, diceva qualcuno, e purtroppo non potrei essere più d’accordo. 

 

di Luca Biscuola